Cenni sulla nascita del fenomeno e raffronto tra Italia e Giappone

Quando circa quarant’anni fa in Giappone sono apparsi i primi casi di ragazzi Hikikomori, letteralmente “stare in disparte”, il governo del Paese era alle prese con il fenomeno dei suicidi tra i giovani e questo fu sottovalutato, tra le varie ed eventuali. Nessuno poteva immaginare, allora, che quei ragazzi scomparsi dalla società fossero l’avanguardia di qualcosa destinato a durare nei decenni e ad esplodere, poi, fino ai numeri di oggi. Si parla di 1.600.000 persone scomparse dai radar della vita civile. Alcune di loro sono in ritiro da quei tempi e oggi il governo ha riconosciuto un sussidio sociale per consentirne la sopravvivenza, dal momento che stanno cominciando a perdere i genitori che li hanno supportati finché in vita.

Sia il suicidio che il ritiro sociale volontario tra i giovani e giovanissimi, hanno alla base diversi fattori, tra cui emerge la terribile pressione sociale esercitata su di loro. Questa non coinvolge solo l’aspetto del successo personale, comprensibile anche alle nostre latitudini, ma va a toccare la sfera dell’onore, che nella cultura nipponica è un concetto talmente sentito da superare quello della salvaguardia personale: il fallimento non è accettabile. Per chi fallisce, a qualunque livello, è più accettabile togliersi la vita e riparare cosi al disonore portato alla famiglia e alla società, che sopravvivere nella vergogna.

Il successo scolastico in Giappone, sin dalla primissima infanzia, è l’obbiettivo di ogni bambino. Mancarlo diventa un problema serio in seno alla famiglia. Con questi presupposti è chiaro quanto ai giovani non sia concesso nessun tentennamento, nessun passo falso. E quanto possa essere pesante reggere tanta pressione. Chi non riesce trova in queste due alternative una possibile via di uscita: il suicidio vero e proprio o il ritiro sociale volontario, come è stato tradotto il fenomeno in Italia. Questa condizione è anche descritto come “suicidio leggero” o “suicidio sociale”, perché chi vive questa condizione sparisce per la società.

Ne è altra causa dirompente il bullismo, ulteriore fonte di vergogna nei confronti dei compagni. Questo fattore accomuna i vissuti dei ragazzi giapponesi e italiani. La maggior parte dei casi di cui noi siamo a conoscenza ha subito fenomeni di bullismo da parte di compagni o insegnanti.

In Giappone il bullismo -ijime- rappresenta una vera e propria diffusa piaga sociale: diversi sondaggi riportano un tasso di oltre il 50% di ragazzi che ne restano vittime. In Italia i dati  Istat del 2017 riferivano una media del 27%, e nella nostra esperienza diretta, la maggior parte dei casi ha subito fenomeni di bullismo da parte di compagni e/o insegnanti.

Cos’è in effetti il ritiro sociale volontario? Quali sono le manifestazioni esteriori del fenomeno?

Eccone un breve accenno, che svilupperemo in post successivi.

Chi vive questa condizione, attraverso fasi graduali si allontana progressivamente da tutte le attività che implicano la relazione con l’altro: la scuola, lo sport, gli amici. Fino a rinchiudersi in casa e, nei casi più estremi, nella propria stanza. Tanto da non uscirne nemmeno per mangiare, se sa che in casa c’è qualcuno. Per questo, tra le manifestazioni più tipiche del ritiro sociale volontario c’è l’inversione del ritmo sonno/veglia: di notte il mondo si ferma e gli hikikomori possono tornare a vivere, liberi dal senso di vergogna che li opprime.

È evidente che tra la società giapponese e quella italiana ci sono differenze enormi, tanto che alcuni osservatori faticano ad accostare i due fenomeni, ma di sicuro possiamo vedere un elemento comune, e cioè la manifestazione esteriore del problema. Eppure anche in Italia il rendimento nello studio e il successo scolastico sono stati ingiustamente ritenuti come criteri principali del valore di un ragazzo.  La preminenza di questo criterio è diventata ancora più  dannosa , da quando la scuola è diventata sempre più confusionaria, ingiusta e senza autorità. I ragazzi se ne accorgono ma si sentono impotenti.

Questi ragazzi, sia in Giappone che in Italia e nel resto del mondo, ad un certo punto provano l’impulso irrefrenabile di sparire agli occhi del mondo. E se non trovano gli atteggiamenti corretti nelle persone che li circondano, rischiano di rimanere in quella condizione a vita, con le conseguenze immaginabili.

Il nostro scopo come associazione è proprio quello di diffondere la conoscenza del fenomeno e di modificare le relazioni e gli atteggiamenti sociali per prevenirlo e risolverlo, a cominciare dalla famiglia e proseguendo nella scuola e nella società.

Di Angela Berti

Ringrazio Katia Bianchi, una dei nostri psicologi, Antonella Rogai, Luciano Melisi e Fabio Scalzotto, soci fondatori insieme a me, per l’aiuto nella scrittura  di questo post.

Foto di Mitul Shah di Burst