Ritiro sociale – la solitudine della famiglia

“Ciao, come stai? Tutto bene?”
“Certo, tutto bene e tu?” – adesso mi domanderà dei figli… cosa rispondo?
“Da quanto tempo non ci vediamo, i tuoi figli saranno cresciuti ormai?” gelo….
“Eh si, maggiorenni da qualche anno….”
“Ma dai! E cosa fanno ora? Lavorano? Studiano?”
“Ehm, in realtà sono a casa con me, non fanno nulla di tutto ciò…” imbarazzo…
“Davvero? Come mai? Pensa, mio figlio si è appena laureato, mia figlia lavora già, il prossimo anno si sposa”.
“Sono davvero contento per te. Beh devo scappare ora. A presto, stammi bene!”

Quasi quotidianamente, se sei un genitore con un figlio/a in ritiro sociale ti ritrovi a dover affrontare pesanti situazioni come questa, che mettono a dura prova anche la persona più capace a sopportare pressioni di un certo tipo.

Quando incontri un parente, un conoscente, un vicino di casa sai già che sarai giudicato per quello che i tuoi figli stanno facendo (meglio dire che non stanno facendo); nel migliore dei casi vieni compatito, altrimenti devi subire attacchi frontali del tipo: “se fosse mio figlio lo sveglierei io”, “alla sua età lavoravo già da anni”, “può permettersi questa vita perché è mantenuto” e via discorrendo.

Non solo la famiglia si trova così ad affrontare in completa solitudine, un problema enorme, apparentemente irrisolvibile, non solo fatica a raccapezzarsi e non sa dove sbattere la testa, ma trova al di fuori dell’ambiente domestico un muro di incomprensione, una pletora di persone pronte a giudicare e sputar sentenze. Se per giunta, come molto spesso accade, i figli ti accusano di essere la causa del loro disagio, ecco che la frittata è fatta, sei allo sbando!

Inevitabilmente ti chiudi in te stesso, carico di frustrazione e vergogna per una situazione che tende a peggiorare sempre di più, in un vortice di solitudine e impotenza. Sei hai la fortuna di avere al tuo fianco un compagno o una compagna, cerchi lì un po’ conforto ma spesso non è così, al tuo fianco non c’è nessuno, oppure, se c’è, non capisce, è distante.

Allora ti interroghi su dove e quando hai sbagliato, ti chiedi se la tua presenza sia stata solo un mero supporto materiale, perchè non hai potuto, voluto entrare a fondo nella relazione coi tuoi figli. Ti domandi se c’è modo di riparare, oppure se ormai è troppo tardi. Intanto i sensi di colpa ti attanagliano, i rimpianti, i rimorsi ti ronzano in testa e rammenti quella volta che ti sei davvero comportato male con loro, oppure quando avresti potuto parlare e hai taciuto, abbracciare e ti sei ritirato.

Sembra che l’assenza (intesa non solo in senso materiale) di uno dei genitori sia una delle cause che portano i figli al ritiro sociale; l’esperienza mi ha portato a pensare che la causa più evidente sia il non corretto coinvolgimento emotivo da parte dei genitori (più sovente il padre) nei confronti dei i figli sin dalla tenera età, o meglio l’errata convinzione che, essendo bambini non dovessero essere coinvolti e presi in considerazione più dello stretto necessario (a ben guardare, anche questa può essere definita una forma di assenza). Soddisfare i loro bisogni materiali era l’attività primaria, con conseguente passaggio in secondo piano degli altri, ben più importanti bisogni, quelli affettivi ed emotivi. E così i figli crescono avvolti da una rassicurante solidità materiale ma da una altrettanto poco rassicurante incertezza emotiva, insomma materialmente tranquilli, emotivamente confusi, senza punti di riferimento e proiettati in un mondo che non riconoscono e non comprendono.

In questo scenario, dove i ruoli sono saltati e dove spesso, anche solo per frustrazione, un genitore accusa l’altro di aver abbandonato la famiglia; in questo scenario, quando il danno è fatto, la situazione è compromessa e i figli sono adolescenti se non addirittura adulti, la cosa più giusta da fare è cambiare passo, lasciarsi alle spalle il passato ed evitare recriminazioni di sorta nei confronti dei familiari, della società, del mondo intero. Insomma la cosa più giusta da fare è tentare una sorta di rinascita. Soprattutto l’atteggiamento verso la vita, verso i figli e verso gli altri deve mutare per poter sperare di uscire dal tunnel. Anche se il mondo là fuori non ci aiuta, anzi ci addita come falliti, incapaci di crescere i figli, nonostante ciò dobbiamo essere consapevoli che la via del cambiamento passa solo e soltanto da noi genitori. Siamo noi infatti, i primi a dover cambiare attitudine senza attendere che siano i figli a farlo; siamo noi che dobbiamo sentire nel profondo le loro esigenze, le loro sofferenze e comportarci di conseguenza, scevri da ogni influenza esterna. Senza questa consapevolezza, ogni via di uscita ci sarà preclusa.

Attorno a noi tutto sembra ostile e sono davvero poche le persone in grado di capire veramente il dramma che stiamo vivendo e offrirci quantomeno un sostegno morale, sono poche queste persone, ma bisogna saperle cercare.

Ecco perché i gruppi di auto mutuo aiuto sono così importanti: solo chi vive le tue stesse pene è in grado di comprendere, solo chi si trova nella tua stessa situazione riesce ad ascoltare senza giudicare, solo chi soffre come te non elargisce consigli ma comprensione. Nei gruppi di auto mutuo aiuto non c’è una storia uguale all’altra, ognuno ha il proprio vissuto, le proprie sofferenze, ma attraverso il confronto e la condivisione possono accadere miracoli.

La solitudine della famiglia è una morsa che non ti dà tregua, ma la si combatte solo aprendosi al dialogo, raccontandosi e ascoltando chi davvero comprende, condivide e vuole a sua volta aprirsi agli altri.

Di Fabio Scalzotto.