Sulle devianze giovanili

Un’affermazione recentemente espressa, nel dibattito politico dell’attuale campagna elettorale, con l’intento dichiarato di contrastare le devianze giovanili con sport e cultura”, cita droga, alcoolismo, tabagismo, ludopatia, autolesionismo, disturbi alimentari, bullismo, baby gang e hikikomori” come forme di devianza giovanile, mettendole tutte sullo stesso piano.

Il vocabolario Treccani definisce il termine “devianza” come “il comportamento di chi non accetta né rispetta gli standard normativi del gruppo sociale di appartenenza”. A proposito di questa dichiarazione, vorremmo fare alcune precisazioni e chiarimenti. Quando definiamo “deviante” un comportamento, usiamo come criterio di riferimento una norma o un comportamento normale.

La norma può essere costituita da una prescrizione di legge, che definisce, in un certo ambito, comportamenti richiesti e comportamenti proibiti. In tal senso, le devianze dovrebbero essere intese come comportamenti “illegali”. Quest’accezione implica che i detti comportamenti anomali siano una violazione intenzionale, voluta dalla persona che li mette in atto.

Se, invece, usiamo come criterio di valutazione del comportamento anomalo la consuetudine, ci riferiamo ad una normalità statistica, ai comportamenti attuati e accettati dalla comunità della quale facciamo parte. La norma statistica è infatti definita come la caratteristica che si rileva con maggiore frequenza in una popolazione.

Ad esempio, l’intelligenza (quantificabile indicativamente attraverso il valore di QI) si distribuisce in modo tale che pochi individui sono molto intelligenti o scarsamente intelligenti, ancora meno sono geniali o  insufficienti mentali, mentre la maggior parte hanno un’intelligenza media. Come si evince dal grafico riportato in Fig. 1, il valore QI=100 corrisponde alla percentuale massima di frequenza nella popolazione e dunque costituisce il valore normale o norma.

Occorre sottolineare che la normalità è un valore solo statistico, che non definisce i comportamenti più funzionali, o le caratteristiche migliori e più desiderabili, ma solo quelli/e più frequenti. Ad esempio, in situazioni di eccezionale emergenza, come in incidenti, disastri, guerre, la maggior parte delle persone entrerà in ansia e sarà disorientata, tenderà ad eseguire istruzioni e ordini di chi sembra sapere cosa fare o tenderà a seguire chi griderà più forte o con maggiore convinzione. Una minima parte tenderà a impazzire del tutto e comportarsi in modo disfunzionale e una parte altrettanto minima della popolazione resterà calma e funzionale e tenderà ad attivare comportamenti risolutori o utili.

Entriamo nel merito delle condizioni identificate nel post come “devianti”.

Uso di droghe, alcoolismo e tabagismo sono dipendenze da sostanze, classificate nei manuali diagnostici statistici come specifiche patologie.

L’abuso di droghe costituisce anche una violazione della legge, dato che esistono leggi che lo vietano. Non così per l’alcoolismo, dato che nessuna legge vieta di assumere alcoolici. Può esserci violazione delle leggi se un ubriaco crea disturbi ad altri o viola delle leggi, come quando guida in stato di ubriachezza o si comporta in modo violento. Se, però, questo si ubriaca in casa propria e non crea fastidi ad altri, non viola nessuna legge. Lui fa del male solo a sé stesso.

Per “contrastare” questo tipo di comportamenti, occorrono investimenti in servizi sanitari funzionanti, che affrontino le radici dei problemi interessandosi dei veri bisogni di questa gente, magari con un occhio buttato sulle condizioni di vita e i problemi sociali, che spesso sono alla base di questi disturbi. Non bastano cultura e sport. Tra l’altro, lo sport è uno degli ambienti dove spesso si usano droghe per aumentare il rendimento.

Il tabacco non è una droga perché non altera il comportamento ma, come le droghe, dà dipendenza. Il tabagismo non è una “devianza” perché non c’è nessuna legge o norma che vieta di fumare, anzi è lo Stato stesso che vende il tabacco in regime di monopolio e vi applica un’accisa minima pari al 59% sul prezzo di vendita al pubblico per il tabacco trinciato per arrotolare le sigarette. Nel 2021, secondo dati ISTAT, i fumatori, tra la popolazione di 14 anni e più, sono poco meno di 10 milioni. La prevalenza è pari al 19%. Gli uomini fumatori sono il 22.9%, le donne il 15,3%. Un uomo su quattro fuma tabacco, quindi, anche in senso statistico, si tratta di un’abitudine abbastanza diffusa.

Le immagini e sollecitazioni inquietanti, che lo Stato mette sulle confezioni dei tabacchi a scopo dissuasorio, non fanno che generare paure e sensi di colpa, che alimentano l’ansia e quindi, in un fumatore, anche il bisogno di fumare, alimentando la dipendenza e rendendo più difficile una sana autocritica. Oltre tutto, il fatto che chi vende il tabacco diffidi dall’usarlo costituisce un paradosso e un doppio legame che  rende poco credibile l’idea che lo Stato voglia davvero proteggere dal fumo. Se si volesse davvero combattere il tabagismo bisognerebbe occuparsi dei veri bisogni di chi fuma. Se, invece di spaventare i cittadini e farli sentire in colpa per i loro comportamenti, venisse chiesta la loro collaborazione per risolvere i loro problemi, ci sarebbero più probabilità di scoprire insieme il modo giusto di affrontarli.

Ludopatia, autolesionismo e disturbi alimentari non sono devianze ma disturbi psichici, regolarmente classificati nei manuali diagnostico-statistici. I primi due sono disturbi del controllo degli impulsi, quindi comportamenti chiaramente indipendenti dalla volontà della persona, che non si possono considerare deliberati. Anche in questo caso, tali comportamenti non contravvengono alcuna norma o legge.

Nel caso della ludopatia, è lo Stato stesso a incentivare il comportamento che si pretenderebbe “deviante”, perché fornisce e organizza i giochi di azzardo, guadagnandoci somme ragguardevoli. Purtroppo, proprio per questo suo ruolo di biscazziere, è possibile dubitare della reale volontà dello Stato di risolvere il problema, così come si può ritenere che sia esso stesso deviante dai suoi doveri di protezione dei cittadini da questa dipendenza.

I disturbi alimentari, come dice la loro definizione, sono disturbi psichici che incidono sul comportamento alimentare, che hanno precise cause e indicazioni di trattamento. Le persone che soffrono di questi disturbi non sono creature oppositive, che si divertono a mangiare in modi stravaganti per fare dispetti a tutti i normo-alimentati, ma persone che hanno uno specifico disagio e sofferenza, che dev’essere affrontata prima di tutto con l’ascolto, la comprensione e la comunicazione efficace.

In tutti questi casi per risolvere il problema occorre un serio impegno a collaborare con i cittadini che soffrono di tali disturbi, cercando di conoscere il loro disagio e di affrontarlo insieme, occorre investire energie e denaro nei servizi che se ne occupano e nella ricerca in questi campi.

Bullismo e baby gangs sono fenomeni sociali che segnalano una patologia delle relazioni sociali e familiari, spesso su una base di disturbi psichici individuali, le cui cause e soprattutto gli efficaci metodi d’intervento, andrebbero ancora opportunamente indagati e attuati.

Veniamo infine al fenomeno Hikikomori. Si tratta di una forma di disagio in gran parte giovanile, ma non solo, dato che abbiamo anche ritirati sociali di quarant’anni e che possiamo riscontrare anche negli anziani una forma di ritiro sociale, che è reso inappariscente dal fatto che a loro non viene più attribuita una funzione sociale. Non si tratta di una vera patologia, per quanto possa essere associata, in alcuni casi, a disturbi psichici più o meno gravi. Evidentemente, non si tratta di una devianza, dal momento che non esiste nessuna legge o norma che obbliga alla vita sociale o vieta di chiudersi in casa propria. Si tratta di un fenomeno che, dagli anni ’80 a oggi, ha continuato a diffondersi a macchia d’olio in tutti i paesi dell’occidente industrializzato, quindi, da un punto di vista statistico, continuando così, questo fenomeno rischia di diventare “la norma”.

È un dato di fatto che, se continuiamo a non occuparci in modo serio di questo fenomeno, cercando di comprenderne le dinamiche e le cause, ma ci limitiamo a schedarlo, rischiamo di vedere le nostre comunità andare in un auto-lock-down. E cosa penseremmo di fare allora? Come pensiamo di contrastare questi comportamenti? Trascinando fuori con la forza gli auto-reclusi? Oppure vogliamo chiederci cosa ci stanno dicendo questi fenomeni di disagio sulle nostre società, sulla vita che conduciamo, sulle relazioni sociali che crediamo giuste e opportune? Quali istanze al cambiamento e all’evoluzione contengono?

Il valore delle devianze

Quando si definiscono “devianze” certe forme di disagio manifestate dai giovani, bisognerebbe precisare “da quale norma” questi comportamenti deviano. Noi viviamo in una cultura decadente, che propone e spesso impone, come modelli di successo, personaggi che incarnano immagini artificialmente costruite, che si esprimono in termini competitivi e spesso violenti, volti a stupire, emozionare, soggiogare, anche scandalizzando o offendendo i sentimenti degli altri. Tutto pur di attirare l’attenzione. Tutta la nostra cultura, anche quella trasmessa a scuola, è un incitamento a competere, primeggiare, vincere, farsi belli a spese degli altri, anche con l’imbroglio, la menzogna, il tradimento. La furbizia passa per intelligenza, la collaborazione per coglioneria e la gentilezza per stupidità o mancanza di coraggio, la capacità critica come stranezza, l’autonomia come mancanza di socialità. Con dei simili disvalori non è strano che chi non riesce a omologarsi o manifesta disagio venga definito “deviante”. Come la intendo io, quando la normalità (il comportamento più frequente) diventa aberrazione, deviare è cercare un modo più sano di vivere e interagire. In un mondo come il nostro, sono i più sani che si sentono a disagio e devono essere aiutati ad esprimersi in modo funzionale, convinti del loro valore e di quello che hanno da dare al mondo.

La radice sociale della solitudine e dell’inesprimibilità del bullo non è così diversa da quella dei ritirati, anche se si esprime con un comportamento diverso, opposto e distruttivo. Tutti e due hanno bisogno di uscire dalla loro chiusura emozionale e di potersi esprimere autenticamente nella loro unicità in relazioni sane. Tutti e due non sono omologabili ai modelli imposti. Non si tratta di comportamenti da schedare e giudicare ma di fenomeni da comprendere, per affrontare le cause che li generano e per cogliere le spinte evolutive che contengono, perché si possano manifestare in modo costruttivo e sano.

Siate orgogliosi dei vostri figli, quando manifestano il loro disagio sociale.  Loro sono i semi di un mondo migliore. I semi diventano brutti quando stanno per germogliare! Se abbiamo dei fagioli in casa, a un certo punto, li vedremo diventare brutti. Sotto la pelle, che comincia a marcire, vedremo dei rigonfiamenti, che deformeranno i semi. Conoscendo questo processo, un buon commerciante o un consumatore metteranno i fagioli in freezer o fermeranno il processo di germinazione essiccando o conservando i fagioli in qualche modo.  Un contadino, invece, pianta i semi che stanno germogliando e fa crescere le piante, che gli daranno un nuovo raccolto.  È grazie al contadino che abbiamo, ogni anno, nuovi raccolti di fagioli! Se avessimo sempre mantenuto tutti i fagioli con la forma perfetta, la specie dei fagioli si sarebbe estinta, e non solo quella!

I comportamenti che seguono sempre la norma data e che si uniformano sempre alle procedure, agli usi e ai sistemi concettuali che gli sono stati insegnati, hanno una funzione conservativa. I comportamenti che deviano dalle norme date, quando non sono in sterile opposizione e non danneggiano nessuno, hanno una funzione evolutiva. Se in passato avessimo avuto solo dei bravi esecutori, saremmo ancora nelle caverne! Le scoperte scientifiche sono sempre deviazioni organizzate dalla norma data.

Il rispetto delle norme, regole, leggi e consuetudini non è sempre il comportamento più funzionale, come non è sempre vero che quello che pensa la maggior parte delle persone sia verità e quello che fa sia giusto. Spesso è vero il contrario! Ogni deviazione deve però essere condotta con consapevolezza di quello che stiamo facendo, sapendo che regola stiamo violando, perché, cosa stiamo cercando di fare e sempre nel pieno rispetto delle persone. Questo significa che anche la deviazione dalla norma non è sempre, di per sé, una buona cosa, ma solo quando attiva movimenti di evoluzione e di scoperta.

Potrebbe quindi essere una buona strategia politica per affrontare devianze, disturbi o disagi, che emergono nella popolazione, evitare di concentrarsi sugli aspetti problematici o oppositivi e far emergere e coltivare le spinte creative evolutive ed euristiche, che questi fenomeni sottendono.

Di Katia Bianchi, psicologa e psicoterapeuta.