Ritiro Sociale
Di cosa si tratta – Come riconoscerlo –
Quali le possibili cause – Come intervenire
Cos’è il ritiro sociale
Ritiro sociale non è sinonimo di solitudine e neanche di isolamento sociale, si tratta piuttosto dell’evoluzione in senso totalmente negativo dell’isolamento e della solitudine, insomma è l’ultimo doloroso passo di un cammino che porta ad allontanarsi dalla vita sociale e a desiderare di non avere più contatti con gli altri esseri umani.
Solitudine e isolamento possono far parte della vita di ciascuno di noi, ma si tratta quasi sempre di fenomeni passeggeri da cui è facile uscire se si ha la possibilità di essere aiutati da amici e parenti. Il ritiro sociale invece è frutto di una decisione che matura lentamente e che rappresenta la conseguenza estrema di tutta una serie di fattori negativi che si sono accumulati col tempo; si tagliano i ponti con chiunque, anche con i propri cari, convinti di poter evitare dolore e sofferenza, ma inconsapevoli di aver imboccato una strada alquanto pericolosa per la propria salute fisica e psichica.
Solo apparentemente il ritiro sociale è una scelta lucida, deliberata e spontanea, infatti a condurre verso questo baratro sono quasi sempre stimoli negativi (o considerati tali) che provengono dall’esterno e che lentamente inculcano nella mente delusione, senso di inadeguatezza, sfiducia, repulsione e rifiuto.
Il ritiro sociale si manifesta principalmente durante l’adolescenza, riguarda soprattutto i maschi, tende a cronicizzarsi con facilità e può durare potenzialmente per tutta la vita; va detto che non è una condizione irreversibile, tuttavia chi entra in questo vortice fatica davvero molto ad uscirne, anche perché viene talmente distorta la sua percezione del “fuori”, che in lui/lei aumenta e si rafforza la convinzione di aver operato la scelta giusta e di averlo fatto per mancanza di valide alternative.
Quando cresce la difficoltà a confrontarsi con la vita sociale, quando si arriva ad un vero e proprio rifiuto della stessa, l’isolamento diventa pervasivo e duraturo e ci si ritira; in questo caso per identificare tale fenomeno si utilizza il termine giapponese “Hikikomori“ che significa letteralmente “stare in disparte”. E’ stato lo psichiatra giapponese Saito ad utilizzare questo termine per la prima volta, con l’intento di definire una ben specifica forma di ritiro sociale che si stava manifestando nella sua nazione.
In generale, associando il fenomeno alla persona, hikikomori diventa colui che decide di ritirarsi dalla vita sociale per lunghi periodi, colui che decide si rinchiudersi nella propria abitazione, evitando ogni contatto diretto con il mondo esterno e talvolta evitando pure le persone che abitano nella stessa casa (genitori, fratelli, ecc).
Come riconoscere il ritiro sociale
Il ritiro sociale non è una patologia e neanche una malattia mentale, tuttavia alcuni suoi sintomi hanno tratti comuni con disturbi ben più gravi come la schizofrenia, l’agorafobia, la depressione, ecc., per questo motivo si fatica a riconoscerlo e ad identificarlo.
Il ritiro sociale non si manifesta improvvisamente, è un fenomeno che ha una sua evoluzione lenta e progressiva e attraversa diversi stadi con livelli di isolamento sempre crescente. I familiari sovente non si rendono conto della situazione e interpretano i primi segnali come manifestazione di un semplice disagio temporaneo e di poco conto con il rischio, non solo di essere di poco aiuto ma anche di creare una reazione che porta il ragazzo/a ad un allontanamento sia fisico che emotivo.
Così si arriva alla vera e propria reclusione nella propria stanza, si evitano i contatti con i familiari e col mondo intero, si perde qualsiasi interesse verso le attività esterne, si inverte il ritmo sonno-veglia, si intraprende un’intensa vita virtuale.
Tutti questi aspetti, quando sono escluse psicopatologie sottostanti e pregresse, evidenziano in maniera conclamata la presenza di un hikikomori in casa.
A proposito della vita virtuale, si potrebbe pensare che l’eccessivo e ossessivo uso di internet possa condurre al ritiro sociale, cioè ne sia la causa (rapporto causa-effetto); invece, è plausibile che la vita virtuale sia solo una conseguenza del ritiro, che rappresenti l’unica compagnia della giornata, e che sia anche l’ultimo estremo tentativo di rimanere in relazione con il mondo.
Quali sono le possibili cause
Le cause di questa condizione sono molteplici ed entrano in gioco fattori caratteriali, familiari, sociali e contestuali. L’hikikomori è una condizione dinamica che tende a svilupparsi col tempo con il rischio di cronicizzarsi. La vergogna, più precisamente la paura di essere giudicati per i propri fallimenti, sembra essere il principale sentimento provato da un hikikomori.
Predisposizione individuale: gli hikikomori sono persone intelligenti e timide, ma anche particolarmente sensibili, introverse e inibite socialmente. Questo mix accresce la loro difficoltà ad instaurare relazioni soddisfacenti e durature, e rappresenta un ostacolo quando devono affrontare le inevitabili delusioni e frustrazioni che la vita riserva loro.
Predisposizione familiare: gli hikikomori spesso vivono in famiglie con una discreta base culturale ed economica, le quali nutrono alte aspettative sulla loro realizzazione sociale e che inconsapevolmente tendono a non responsabilizzarli. Si tratta di famiglie dove i ruoli genitoriali sono sbilanciati: la figura materna è iperprotettiva e quella paterna emotivamente assente.
Predisposizione sociale: gli hikikomori sviluppano una visione molto negativa della società e soffrono particolarmente i modelli di realizzazione sociale di cui la società è permeata; hanno scarsa autostima che genera in loro paura del fallimento e senso di vergogna.
Fattori contestuali: anche alcuni fattori come la cerchia di amicizie, le tipologie di interessi personali ed il contesto scolastico incidono fortemente sul fenomeno. Uno dei primi campanelli d’allarme è il rifiuto della scuola e dell’interazione con i compagni. L’ambiente scolastico viene vissuto dall’hikikomori in modo particolarmente negativo e molto spesso, dietro il ritiro si nasconde una storia di bullismo o di esclusione tra pari.
Le vie d’uscita
E’ fondamentale rivolgersi ad uno specialista o entrare a far parte di gruppi di auto mutuo aiuto (AMA) del proprio territori quando ci si rende conto che il ritiro sta condizionando la vita quotidiana, quando è evidente la mancanza di interessi, quando non si curano i rapporti sociali, quando si trascurano i legami familiari e si tende ad evitare qualsiasi situazione che richiederebbe un contatto sociale.
Il fenomeno si sta diffondendo con una certa rapidità in molte nazioni tra cui l’Italia e quindi è oggetto di indagine e di studio da parte della comunità scientifica e medica e da parte di molte associazioni, come la nostra, che con il loro contributo aiutano a comprendere meglio il fenomeno e, in qualche misura, a tracciarne i contorni per la stesura di adeguate linee guida necessarie al suo riconoscimento ed alla sua gestione.
Ad oggi, l’approccio che si ritiene essere il più corretto, consiste nel tener conto della complessità fenomeno, considerandolo non imputabile solo al ragazzo/a ma a tutto il sistema più allargato, in particolare alla famiglia e alla scuola.
Particolarmente importante è l’intervento sulla coppia genitoriale, che nella maggior parte dei casi è anche la prima a chiedere aiuto. Il lavoro terapeutico si concentra quindi sull’analisi delle dinamiche familiari e anche sul supporto della capacità genitoriale ad affrontare le difficoltà relazionali con i figli.
Successivamente, se possibile si cerca di entrare in contatto col ragazzo/a con l’obiettivo rompere quelle dinamiche cristallizzate che hanno portato al collasso del sistema famiglia e cercare di ristabilire il collante tra genitori e figli, elemento cardine per ristabilire la fiducia verso la famiglia e poi verso il mondo esterno.
Il contatto con il ragazzo/a lo si cerca, almeno inizialmente, anche attraverso l’utilizzo di strumenti tecnologici per cercare di ridurre le resistenze iniziali e le diffidenze; solo dopo aver superato questo primo ostacolo si può tentare un incontro di persona.
Si può chiaramente constatare come il fenomeno del ritiro sociale risulti complesso perché tocca quasi contemporaneamente svariati ambiti, quello personale, quello familiare e quello sociale. Quindi chi entra in contatto con il ragazzo/a si trova ad affrontare un ritiro multi dimensionale, una totale mancanza di idee e di stimoli e una completa assenza di progettualità.
L’obiettivo da raggiungere sarà quindi quello di ricucire la rete sociale intorno al ragazzo/a rispettando i suoi tempi e le sue paure, cercando di entrare e conoscere il suo mondo che sembra così buio per chi lo guarda da fuori ma cosi avvolgente e confortante per chi lo vive in prima persona.
Questo cortometraggio creato e diretto da Jonathan Harris mostra uno spaccato fedele del fenomeno hikikomori: rifiuto di comunicare, senso di impotenza, inversione sonno-veglia, attaccamento alla tecnologia ed infine speranza di uscirne,
Animazione di Jonathan Harris