COSTELLAZIONI SISTEMICHE

Uno strumento di evoluzione delle relazioni familiari da stati di conflitto a processi di integrazione.

Molte persone sperimentano quotidianamente il senso d’impotenza e di disperazione che si prova nel vedere un familiare sofferente, ammalato o disturbato. Vorremmo fare qualsiasi cosa per vederlo stare bene, per cambiare la sua condizione di sofferenza. I familiari di una persona disturbata sono costantemente concentrati su di essa e su come influenzarla per farla stare bene. Nella loro situazione, sperimentano quotidianamente gravi stati d’ansia, che finisce per condizionare la comunicazione con i familiari e con gli altri in genere, oltre a influire nella relazione col familiare disturbato, alimentandone i comportamenti di chiusura e aggravando i sintomi. In queste situazioni, l’ostacolo più grande al cambiamento è proprio questa assoluta concentrazione sulla persona sofferente e sulle strategie per cambiarla, che fa distaccare le persone della famiglia dai loro sentimenti e vissuti e dai loro veri bisogni e provoca chiusura emotiva e blocco o distorsione della comunicazione nella famiglia. Questo ostacolo alla comunicazione viene dalla credenza radicata che il disturbo, la malattia sia una caratteristica strutturale della persona che la mnifesta, dovuta a una sua debolezza insita, a una sorta di difetto di fabbricazione o di sviluppo, un guasto da aggiustare agendo sulla persona “difettosa”. Questa credenza, prodotta dalla filosofia e dalla scienza meccanicistica, che concepiscono il mondo e gli esseri viventi come “oggetti” separati, come “macchine”, che si possono solo guastare o consumare e che possono essere aggiustate solo da appropriati interventi esterni. Questa concezione, che ha prodotto credenze inconsce nel corso di qualche secolo, ci rende difficilmente accessibili le dinamiche di evoluzione e di trasformazione e la natura relazionale dei problemi e delle soluzioni.

Malattie, disturbi, stati di blocco esistenziale sono movimenti evolutivi, che siamo educati a temere, contenere e bloccare, in quanto manifestazioni della funzione di trasformazione, che noi conosciamo solo come funzione di sviluppo embrionale, deterioramento, morte o malattia. Siamo educati a guardare con sospetto e paura la trasformazione, da secoli codificata nell’immaginario come scienza proibita, arte relegata nel mondo delle favole e dei sogni.

Il movimento creativo cova dentro la persona, non viene da fuori, non può essere insegnato: esso è unico. Anche quando non lo abbiamo mai fatto, lo conosciamo, perché la procedura per liberarlo è scritta nelle nostre cellule. Dal momento che siamo memoria di questi movimenti, noi siamo anche tempo. Questo tempo noi lo proiettiamo, con tutte le informazioni, le forme ed i movimenti che vi sono contenuti, nel nostro sistema percettivo: noi costruiamo le nostre percezioni condensandovi sempre tutti i movimenti dei quali siamo fatti: noi creiamo il mondo percettivo a nostra immagine.

Questa proprietà del campo e della funzione percettiva ci permette di proiettare la nostra organizzazione, con i movimenti e il tempo condensato in una qualsiasi nostra percezione. Dal campo morfogenetico, usato nelle costellazioni sistemiche e familiari, abbiamo imparato le funzioni di un campo percettivo, che sperimentiamo nelle percezioni, nelle immaginazioni e nei sogni.

Quando osserviamo un campo percettivo, vediamo i movimenti di cui siamo fatti, i programmi che attiviamo ed i movimenti di evoluzione che da essi si generano. Per liberarlo bisogna osservarlo da un punto del futuro, da dove possiamo vederlo per intero. Il movimento di evoluzione si blocca quando noi ne cerchiamo il senso nel passato o nell’immagine di quello che eravamo prima di ammalarci.

Il movimento di evoluzione si blocca anche quando rappresentiamo i nostri problemi, fissandoli nel tempo e nello spazio. La soluzione emerge quando allarghiamo la visuale sul problema, smettiamo di vederlo come un dato e lo vediamo come processo nel tempo, smettiamo di isolarlo e lo vediamo connesso e integrato in un contesto più ampio, che gli dà funzione e significato.

Il campo morfogenetico è un sistema di connessioni che ci permette di osservare il nostro sistema immaginario e di coglierne i movimenti creativi.

Nel lavoro sistemico, una persona può rappresentare un problema utilizzando altre persone del gruppo per rappresentare parti di sé, elementi o persone coinvolte nel problema e mettendoli in relazione spaziale tra loro. Per le proprietà del campo, i rappresentanti si sentono e si muovono come le persone o gli elementi che rappresentano, quindi sono in grado di fornire informazioni nuove e di produrre movimenti creativi che la persona non vedeva.

L’obiettivo di questo lavoro è una ristrutturazione dell’immagine mentale, che la persona aveva del suo problema e di sé.

Dato che le nostre immagini mentali sono per noi quello che i programmi sono per un computer, una nuova immagine di noi produce un cambiamento del nostro modo di sentire e dei nostri comportamenti, che attiverà altrettanti cambiamenti nei nostri sistemi di relazione.

Sviluppo storico delle costellazioni sistemiche

 La tecnica delle costellazioni sistemiche è stata sviluppata nel tempo integrando apporti di autori diversi e prospettive differenti, a partire dalla necessità di spiegare gli effetti dei traumi sul comportamento delle persone e della correlazione fra traumi e sintomi, fino a considerare l’ipotesi che, nel caso di certi disturbi particolarmente resistenti, agissero gli effetti di traumi intergenerazionali. Queste problematiche si ponevano già alla fine dell’800 con le teorie di Freud sull’origine traumatica dei disturbi psichici.

Il primo passo fondamentale per poter concettualizzare un’espressione sintomatica, un disturbo di una persona come fenomeno complesso, prodotto da un campo di forze e di interazioni del suo sistema umano di appartenenza e del suo ambiente, è stato prodotto dalle teorie sistemiche.

Nate dalla filosofia costruttivista[1] e dalla cibernetica,[2] le teorie sistemiche estendono al campo psicologico un’immagine del mondo che non considera i fenomeni come oggetti, ma come condensazioni fluttuanti di sistemi di movimenti e di relazioni. Secondo questo punto di vista, le persone sono delle organizzazioni viventi inserite in una rete di comunicazioni con tutti gli altri esseri viventi. I comportamenti delle persone, quindi, non sono espressione della loro struttura psichica, ma sono il risultato dell’adattamento a complessi sistemi di relazioni e della loro attitudine a risuonare con essi.

I comportamenti sintomatici o i disturbi psichici sono adattamenti sensati delle persone ai loro sistemi di relazioni, risposte adeguate a comunicazioni patologiche. La persona che soffre di disturbi psichici, quindi, non è malata o disfunzionale, ma risponde nell’unico modo possibile a comunicazioni paradossali all’interno di un sistema di relazioni patologiche. La persona, che mostra un disturbo psichico, esprime il disagio del suo intero sistema di relazioni, è un interprete del sistema e dice l’indicibile nel solo modo possibile: il linguaggio dei sintomi.

La sistemica – più precisamente la pragmatica della comunicazione – ci insegna che i disturbi psichici sono causati da una patologia del sistema di relazioni e si esprimono nella comunicazione usata all’interno del sistema. Watslawick[3] ha studiato, in particolare, come un messaggio viene analizzato contemporaneamente da aree competenti situate nei due emisferi del cervello. L’area nell’emisfero sinistro è logica, sequenziale, lavora legando gli elementi dell’esperienza in catene logiche lineari o sequenze numeriche, mentre l’area nell’emisfero destro usa i dati per costruire immagini. Per questo, si dice anche che l’emisfero sinistro è quello dello scienziato e il destro quello dell’artista. Una caratteristica del linguaggio delle immagini rispetto a quello logico è la sua attitudine a integrare emozioni, sentimenti e sensazioni. Mentre il sinistro conta, quantifica l’energia che la persona organizza in sé e scambia nella rete di relazioni, il destro la rappresenta, ne fa un film.

Come l’elaborazione delle aree cognitive del nostro cervello, anche la comunicazione avviene a due livelli: il livello del significato esplicito e della logica e il livello della mèta- comunicazione, che è costituito dalla colorazione emotiva, dalla comunicazione mimica, gestuale, dal tono della voce, dal contesto relazionale, cioè da tutti quegli aspetti che si definiscono “non verbali”, che sono spesso inappariscenti, ma che danno precise sensazioni, emozioni, ci fanno sentire in un certo modo. E’ al livello della meta-comunicazione che si definiscono le posizioni reciproche e le regole della relazione non dichiarate verbalmente.

Quando ci viene comunicato a un livello qualcosa, che nell’altro livello viene negato, la lettura dei due emisferi non concorda, il cervello va in shock e noi non sappiamo come prendere la comunicazione, non sappiamo come rispondere o come comportarci. Si tratta di una comunicazione paradossale. Se, ad esempio, una persona ci dice che è molto felice, ma la sua espressione è triste, noi non sapremo come leggere questo messaggio. Restiamo in sospeso. La stessa cosa può accadere anche in uno stesso livello di comunicazione, quando, ad esempio, una persona sorride, ma ha lo sguardo adirato. Diremmo che la sua espressione è ambigua, non sappiamo cosa pensare. Anche a livello logico verbale possiamo avere un paradosso, quando, all’interno dello stesso discorso, si afferma qualcosa, che in un passo successivo si nega. 

La comunicazione paradossale costituisce un’esperienza traumatica ed è in grado di mandare il cervello in shock, essa costituisce un particolare tipo di shock. Questo aspetto ci chiarisce meglio quello che accade quando subiamo dei traumi.

Dalle teorie sistemiche abbiamo imparato che, ristrutturando la comunicazione nel sistema umano si influisce sulle espressioni sintomatiche di uno dei suoi appartenenti.

Un’applicazione particolare delle teorie sistemiche, che mette in luce gli effetti del trauma sui sistemi familiari in particolare e sui sistemi umani in generale, è il lavoro di Bert Hellinger[4] con le costellazioni familiari, sviluppato integrando le teorie psicoanalitiche sulla relazione fra traumi, difese e sintomi con gli apporti delle psicologie sistemiche, della psicologia della Gestalt[5] e dello psicodramma di Moreno[6].

Hellinger ha utilizzato alcune proprietà di un campo morfogenetico per studiare le relazioni familiari e le modificazioni di queste relazioni in sistemi traumatizzati.

Il campo morfogenetico, come si ricava dalle definizioni di Rupert Sheldrake[7], lo scienziato che ha coniato questo nome, è l’intero campo di esperienza, che è, in realtà un campo di azione fisico-mentale, che connette tutto ciò che esiste e lo crea, al momento in cui ne facciamo esperienza, inconscia o cosciente. In pratica, il campo morfogenetico è un sistema olografico di funzioni creative, un sistema di movimenti che si comporta, nel suo insieme, come un essere vivente, un superorganismo primordiale, che crea continuamente quello che chiamiamo “realtà”, “sogno”, “immaginazione”, “fantasia”, tutto il nostro sistema d’immagini, emozioni, sensazioni, tutta la nostra esperienza di noi e del mondo.

Noi siamo parte di questo campo e, al tempo stesso conteniamo in noi l’intero campo. Possiamo quindi proiettare una parte del nostro campo di esperienza in uno spazio dato. In virtù della nostra proiezione, questo spazio diventa carico dell’immagine proiettata, perciò ogni punto di quello spazio attivato diventa significativo e attivo rispetto all’immagine proiettata. Questa proprietà del campo fa sì che le persone, chiamate a rappresentare figure della nostra storia familiare o elementi della nostra esperienza, da noi disposte, in punti diversi di quello spazio, in relazione tra loro secondo la nostra immagine interiore, si sentono e si muovono come le persone o gli elementi che rappresentano.

Sfruttando questa proprietà del campo, Hellinger ha studiato le regole di relazione dei gruppi familiari, includendo nei gruppi anche la famiglia allargata e gli antenati. Studiando queste regole, che lui ha chiamato “gli ordini dell’amore”, egli ha scoperto che, oltre al vissuto traumatico individuale della persona che subisce uno shock, esiste anche un livello sistemico del vissuto traumatico, che è in grado di continuare a riprodursi e produrre sintomi e disturbi nelle persone appartenenti al sistema traumatizzato. Oltre al vissuto traumatico individuale, esiste un trauma del sistema di appartenenza, un trauma familiare o di gruppo. Il trauma può riguardare un’intera città o un popolo o, come ci informano i miti delle origini, un intero pianeta. Oltre a questo, il trauma può riprodursi attraverso le generazioni, essere ereditato dai discendenti fino a che non sia risolto.

Il livello sistemico del trauma si sviluppa secondo determinate regole dei sistemi. Innanzi tutto, un sistema si arresta nella sua evoluzione quando un suo movimento evolutivo viene interrotto, quando l’energia liberata e impegnata nella produzione del sistema di immagini che guida quel movimento non si può realizzare nel suo compimento. Quando un’immagine non si realizza nel movimento che raffigura, il sistema entra in shock, l’immagine che non si può completare rimane attiva e carica di energia, continua a riproporsi nel tempo e a cercare di realizzarsi, resta in sospeso. Il trauma rappresentato dall’evento che ha impedito la realizzazione del movimento evolutivo continua a ripetersi, finché il movimento non si realizza. Possono passare generazioni dal trauma fino alla realizzazione e, in ogni generazione, nasceranno uno o più candidati a rivivere il trauma intergenerazionale, a farsene carico per cogliere l’opportunità di risolverlo.

Gli eventi che possono provocare l’interruzione del movimento creativo del sistema sono diversi. Hellinger ha individuato alcune violazioni delle regole dei sistemi familiari che mandano il sistema in shock. Una delle violazioni fondamentali delle regole del sistema è l’esclusione di uno dei membri. Questa può avvenire con la morte di un neonato, di un bambino o di un giovane, con un aborto, quando un membro è allontanato dalla propria famiglia o dal proprio paese, quando membri del sistema sono vittime o protagonisti di discriminazioni, ingiustizie, violenze, omicidi o altre negazioni del diritto di appartenenza.

Un’altra ferita del sistema è rappresentata dalla separazione da o tra persone della stessa famiglia o sistema umano, da conflitti, dal mancato riconoscimento del proprio posto nel sistema. Un’altra potente violazione delle regole si ha quando le persone non sono riconosciute o non riconoscono il proprio ruolo: figli che si comportano come se fossero genitori, genitori che si comportano da bambini, un fratello minore che usurpa il diritto del maggiore, una seconda moglie che non riconosce il diritto della prima e così via.

Lo studio di Hellinger ci mostra come, in un sistema umano, ogni persona deve avere il suo legittimo posto e svolgere liberamente la propria funzione, integrandola con quella di tutti gli altri. Non fanno eccezione i morti, che restano parte della stessa anima familiare: anche il loro posto deve essere mantenuto e la loro funzione rispettata. Per il sistema, i suoi membri sono tutti vivi e presenti. Ogni evento, che impedisca il libero movimento di ciascuno in armonia col libero movimento di tutti gli altri, costituisce un trauma per il sistema, che si riproduce finché non si risolve.

Complessivamente, i traumi del nostro sistema di appartenenza, vanno a depositarsi nell’inconscio familiare, dove mantengono un’attrattiva potenziale su di noi, una forza d’irretimento, che, in virtù del nostro bisogno di appartenenza e di lealtà alla famiglia, possiamo sempre identificarci con uno dei nostri antenati ed ereditarne il vissuto traumatico insieme alla tensione o alla missione di risolverlo. Hellinger parla, in questo caso, d’irretimento nel sistema.

Dalla concezione del trauma intergenerazionale si sono sviluppate un gran numero di teorie e di metodiche diverse, come la psicogenealogia e la psicomagia di Alejandro Jodorowsky, la teoria sull’inconscio biologico di Henry Laborit, la psicobiologia di Jean Claude Badard, la psicogenealogia di Anne Ancelin Chützemberger e altri.

Lo stesso metodo delle costellazioni familiari viene attualmente usato in una molteplicità di varianti e di metodiche simili ma diverse tra loro, che, in alcune forme, si possono discostare anche molto dal metodo originale usato da Hellinger.

La funzione fondamentale del metodo delle costellazioni sistemiche consiste nel fatto che questo permette a una persona di rappresentare in modo visibile e concreto il proprio sistema umano di appartenenza, vederne agire le dinamiche di relazione e sperimentare vie di cambiamento evolutivo del sistema, che cambino in modo significativo l’immagine che quella persona ha di sé, dei propri sistemi di relazione personali e sociali. Riprendendo il proprio posto nel sistema, la persona può  prendere una posizione, che gli permette di agire i movimenti bloccati, di accedere a risorse che non sapeva di avere e fare quello che non pensava di poter fare. La liberazione di questi movimenti bloccati ha un effetto su tutti i sistemi di relazione di quella persona e un effetto anche sui sintomi di un familiare disturbato. L’aspetto liberatorio, che le costellazioni sistemiche ci offrono è la consapevolezza che, dove mi sento impotente a cambiare qualcosa nei miei cari, posso cambiare io qualcosa nei miei comportamenti, nei miei vissuti e nel modo di vedere gli altri. La scoperta è che quei piccoli cambiamenti che io posso fare, producono altrettanti cambiamenti negli altri.

[1]Il costruttivismo è una posizione filosofica ed epistemologica, che considera la nostra rappresentazione della realtà, e quindi il mondo in cui viviamo, come il risultato dell’attività costruttrice delle nostre strutture cognitive. 

[2] La cibernetica è lo studio generale di sistemi complessi altamente organizzati, indipendentemente dalla loro particolare natura. Norbert Wiener definisce “cibernetica” (dal greco kyilbernetes, “timoniere, pilota”) il processo di retroazione autocorrettiva (self corrective feedback) attraverso cui l’informazione riguardante i risultati delle attività passate è riportata nel sistema, andando così ad influenzare il futuro, e permettendo quindi al sistema di auto-regolarsi, adattarsi e modificarsi.

[3]Paul Watzlawick (1921 – 2007) è stato uno psicologo e filosofo statunitense di origine austriaca, eminente rappresentante della Scuola di Palo Alto. Ha applicato in psicologia le teorie costruttiviste.

[4] Bert Hellinger è uno psicologo tedesco. Studioso di teologia e pedagogia. Dal 1980 espose le basi delle sue linee teoretiche e metodologiche in merito alle Costellazioni Familiari e Sistemiche, una delle varie espressioni della psicologia fenomenologica e sistemica.

[5] Elaborata da Max Wertheimer, Wolfgang Kõhler e Kurt Koffka negli anni ’50, la psicologia della Gestalt si concentra sulla inscindibilità dell’esperienza in parti. Per la psicologia della Gestalt non è corretto dividere l’esperienza umana nelle sue componenti elementari e occorre invece considerare l’intero come fenomeno sovraordinato rispetto alla somma dei suoi componenti: “Il tutto è diverso dalla somma delle sue parti”. Le parti ricevono il loro senso e la loro funzione dalla loro integrazione nell’intero.

[6] Lo psicodramma è un metodo psicoterapeutico, generalmente di gruppo, che utilizza le drammatizzazioni, oltre alle tecniche verbali, come mezzo per esprimere, per comunicare, per esplorare e per elaborare i diversi problemi degli individui, delle coppie, delle famiglie o dei gruppi. Il creatore dello psicodramma è stato Jacopo Levy Moreno, medico rumeno (1892-1974), che ha vissuto a Vienna fino al 1925 e poi negli Stati Uniti. 

[7] Rupert Sheldrake è un biologo inglese autore della teoria dei campi morfici e della “risonanza morfica”, che considera l’universo non come una macchina ma come un essere vivente, governato da leggi, che sono esse stesse soggette a cambiamenti.

Di Katia Bianchi, psicologa e psicoterapeuta.